La storia del popolo albanese si riconosce in un grande eroe nazionale, figlio e padre allo stesso tempo di questa terra, che risponde al nome di Giorgio Castriota (1405-1468). Ma le sue imprese hanno un valore che travalica i confini dell’Albania tanto da renderlo uno dei protagonisti di primo piano della cristianità europea del XV secolo.
Egli è uno dei quattro figli di Giovanni I Castriota, signore di alcune città del nord dell’Albania e principe di Kruja, che strenuamente combatté contro le continue incursioni degli Ottomani che giunsero ad assoggettare la stragrande maggioranza del territorio albanese e ad imporre un potere profondamente discriminatorio nei confronti dei cristiani.
Nonostante l’eroismo dei principi del popolo albanese rifugiatisi sui monti impervi della nazione, come prezzo per l’ennesima sconfitta, Giovanni Castriota dovette cedere in ostaggio ai turchi i quattro figli. Due morirono poco dopo, forse avvelenati, uno ottenne dopo diverso tempo, di diventare monaco sul Monte Sinai e quindi di ritirarsi, l’altro Giorgio fu convertito forzatamente all’Islam divenendo un valente condottiero del Sultano, tanto che fu nominato Iskénder bej (ossia principe Alessandro quasi un redivivo Alessandro Magno) da cui l’appellativo di Scànderbeg (o Skanderbeg).
Quando, però, sembravano sbiadite e tramontate le radici albanesi e cristiane, per tutta una serie di motivazioni contingenti ma anche profondamente culturali spirituali che trovarono accoglienza nella mente e nel cuore del giovane condottiero, Egli lasciò le fila dell’esercito ottomano e riunendo i principi albanesi con la Lega di Lehza, iniziò a lottare indefessamente per la libertà dell’Albania e quindi in difesa dell’Europa cristiana, minacciata dagli Ottomani il cui obiettivo dichiarato da decenni era: risalire la penisola illirica per giungere a sottomettere Roma, centro della cristianità.
Possiamo dire che per buona parte del XV secolo e fin quando Giorgio Castriota fu in vita l’esercito turco collezionò una serie di innumerevoli sconfitte. Il possente esercito prima del sultano Murad II e poi di Maometto II non ebbero mai la meglio sulle piccole ma valenti truppe albanesi guidate dall’intrepido comandante. Con scarsi rifornimenti da parte dei regni europei ad eccezione dei piccoli aiuti militari inviati dai Papi, uno tra tutti Pio II, e dal Re dell’Italia Meridionale, Alfonso d’Aragona e nonostante i tradimenti anche di collaboratori e trame anche di Venezia, Egli per decenni tenne testa a Sultani e Gran Visir anche dopo che cadde Costantinopoli, il 29 Maggio 1453.
Uomo colto, poliglotta, con un’intelligenza acuta e valore imponente ebbe l’onore di essere insignito da Papa Callisto III del titolo di Athleta Christi e Defensor fidei. Trovò la morte a causa della malaria ma invitto, anzi proprio agonizzante ebbe la gioia di sapere che il manipolo dei suoi uomini aveva respinto presso Scutari l’ennesima offensiva islamica.
La memoria di Giorgio Castriota è sicuramente parte fondamentale dell’identità e delle radici dell’Albania, ed è coltivata anche nelle comunità italo-albanesi che si sono venute a create attraverso diverse migrazioni durante soprattutto gli anni successivi alla difesa dello Skànderbeg, proprio per fuggire all’assoggettamento turco-ottomano, tant’è che, ad esempio, il corso principale di Piana degli Albanesi in Sicilia e l’Istituto comprensivo sono dedicati proprio a lui.
Ma la sua memoria e la sua testimonianza non possono che collocarlo, al di là di ogni prurito politically correct o da cancel culture, come un protagonista euromediterraneo ed europeo ed un esempio di difesa delle libertà concrete, respirate dai suoi contemporanei a cui rese onore con questa frase: «Non fui io a portarvi la libertà, ma la trovai qui, in mezzo a voi!». Su questa libertà, mutatis mutandis, non si può che continuamente meditare.
Daniele Fazio
Non conosco la biografia dell’eroe nazionale albanese, spesso l’ho incontrato citato nei libri…Posso fare questa testimonianza se può servire a qualcosa…Ogni volta che incontravo un alunno di origini albanesi, o almeno i genitori albanesi, l’ho fatto sempre presente, sia in classe che nei colloqui con i genitori…il minimo che potevo fare…
Complimenti insigne professore. Quanta sofferenza di quanti nei secoli hanno creduto e lottato per quell’Uomo in Croce. E quanta fatica nella ricerca di quella conoscenza che ci conduce nei secoli, sempre a quella Croce!