All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, i passi decisivi per la costruzione dell’Italia democratica furono essenzialmente due, ed entrambi si snodano a partire da due esiti elettorali: il primo è quello del 1946 che consegna alla nazione un nuovo abito istituzionale repubblicano ed elegge l’Assemblea costituente, che darà una nuova Costituzione all’Italia e l’altro, per certi versi, drammaticamente più radicale sta nelle elezioni del 18 Aprile 1948, le prime dell’età repubblicana. Le alternative in campo si stagliano non solo tra diversi partiti, ma soprattutto tra due visioni del mondo inconciliabili. Da un lato vi è il Fronte popolare, ossia il blocco socialcomunista, con a capo Palmiro Togliatti: l’eventuale vittoria di tale coalizione avrebbe proiettato la nazione nell’orbita sovietica, facendo diventare l’Italia una sorta di paese satellite dell’URSS. Dall’altro le forze anticomuniste, che tuttavia non si alleano, lasciando alla sola Democrazia cristiana, guidata da Alcide De Gasperi, il reale ruolo di competitor politico del blocco di sinistra.
L’esito elettorale non è affatto scontato, il mondo cattolico e lo stesso Pontefice Pio XII sono alla ricerca di una strategia per poter superare le diffidenze e l’astensionismo. Ed è in questo contesto che emerge sempre di più la figura di un laico cattolico, medico e ancora di più scienziato genetista, che giungerà ad avere fama internazionale per i suoi studi sulla gemellologia e fonderà a Roma l’Istituto G. Mendel: Luigi Gedda (1902-2000).
Sia negli anni torinesi che in quelli milanesi, egli assumerà diversi ruoli di dirigenza nei vari rami dell’Azione cattolica, unico organismo che al tempo raggruppava il laicato cattolico. In tali vesti, approdato successivamente a Roma, al servizio dei Pontefici Pio XI e PIO XII, si troverà prima a confrontarsi con il regime fascista, che proprio nell’Azione cattolica vede un ostacolo all’educazione della gioventù italiana alla rivoluzione fascista e poi a studiare un piano d’azione, perché, oltre la Dc, in cui si ravvisano confusioni e beghe interne che mettono in pericolo l’esito elettorale del 1948, gli italiani abbiano ben chiaro cosa vi è in gioco con quella scelta elettorale.
Pertanto, organizza in due mesi – in accordo con Pio XII – i Comitati civici, coordinamenti di quadri di associazioni articolati tra un centro nazionale e migliaia di comitati locali, che vogliono essere organismi formativi e informativi atti a fornire motivazioni profonde allo scontro elettorale, non solo del 1948, e che possano anche fornire uomini indipendenti da affiancare alla futura classe dirigente italiana. Gedda stesso rifiuterà di candidarsi del collegio di Viterbo, credendo indispensabile che venisse istituito un presidio permanente che si occupasse di questioni socio-politiche e culturali, rimanendo fedeli a quanto insegnato dal magistero, che è cosa diversa dal fare partitica.
Grazie all’impegno di Gedda e dei suoi Comitati civici, che drammatizzarono la competizione elettorale – basti passare in rassegna i manifesti che vennero prodotti – la Democrazia cristiana ottenne una vittoria impensabile, raggiungendo il 48% dei consensi, il Fronte popolare si fermò al 31%. Il corpo elettorale italiano cattolico, sonnolento o scontento per vari motivi, rispose, perché i Comitati civici riuscirono a svegliarlo con un’opera capillare. Se, infatti, alle elezioni del 1946 la Dc aveva preso circa otto milioni di voti e a quelle regionali in Sicilia nel 1947 aveva visto una flessione a favore delle forze di sinistra, alle elezioni del ’48 le preferenze per i democristiani superarono i dodici milioni. Chiaro segno che lo sforzo compiuto da Gedda diede quella spinta fondamentale e necessaria per mettere l’Italia al riparo dall’egemonia politica socialcomunista.
Gli anni successivi non videro affatto alcuna gratitudine nei confronti dell’opera di Luigi Gedda e dei Comitati civici. Tuttora il suo nome anche nel mondo cattolico è quasi sconosciuto e quando lo si evoca spesso i giudizi sono ambigui e fuorvianti. Perché? Perché sempre di più la Democrazia cristiana da un lato e l’Azione cattolica d’altro optarono per una mentalità distante dai principi della dottrina sociale della Chiesa compiendo ammiccamenti, compromessi ed aperture alle sinistre. Sono quelle “amare sorprese” già intuite da Gedda e discusse in diverse udienze con Pio XII che alla fine portarono la Dc a sfruttare l’elettorato cattolico senza combattere seriamente battaglie per i principi naturali e cristiani e l’Azione cattolica ad operare successivamente per la “scelta religiosa” demandando in tutto e per tutto alla Democrazia cristiana le opzioni politiche.
Gedda non si fece confondere, né recriminò quest’opera di emarginazione perché egli era innanzitutto un uomo dalla profonda spiritualità, imperniata sulla figura di Cristo agonizzante nel Getsemani. Tale prospettiva si respirava soprattutto all’interno di un’altra organizzazione cui lo scienziato si dedicò per tutta la vita: la Società operaia.
Egli morì, dopo aver attraversato tutto il Novecento non senza averci lasciato un volume con le sue memorie che è un ottimo punto di partenza per scoprire un gigante italiano senza il quale, con fondata probabilità, non avremmo respirato la libertà e la democrazia. Tra le altre cose, oggi, l’esempio di Gedda ci ricorda che per avere una classe dirigente degna di questo nome sono due i pilastri su cui bisogna edificarla: granitica formazione e profonda spiritualità.
Daniele Fazio