iUna suggestiva immagine ci indica che l’Europa, ovvero la sua cultura, poggia su tre colli: l’Acropoli ateniese, il Golgota di Gerusalemme e il Campidoglio romano. Se il riferimento ad Atene richiama la filosofia e quello a Gerusalemme il cristianesimo, indubbiamente il riferimento a Roma richiama il diritto romano. Se, infatti, bisogna cercare quel proprium che gli antichi latini ci hanno tramandato non possiamo non riferirci alla loro sapiente ed essenziale capacità di produrre le leggi fondamentali che regolano i rapporti tra gli uomini, tant’è che ancora oggi – almeno negli Atenei italiani – si studia una disciplina che va sotto il nome di Istituzioni del Diritto romano o vengono ricordati i brocardi in lingua latina che indicano sinteticamente delle massime giuridiche.

Tuttavia, l’apporto di Roma al modello europeo va oltre e in qualche modo rappresenta un paradigma interessante anche per il futuro del vecchio Continente.

A Roma, infatti, che ha avuto una civiltà plurisecolare, è toccato quel ruolo di mediazione culturale che ha permesso alle altre due fonti di essere trasmesse nei secoli. Quando, infatti, l’esercito di Roma definitivamente conquistò la Grecia, l’atteggiamento dei romani – malgrado un forte partito antiellenico – fu quello di profonda ammirazione nei confronti della sapienza dei filosofi, tant’è che che il poeta latino Orazio ebbe a dire: Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio. Roma, dunque, conquistò la Grecia con le armi, ma questa con le arti – ovvero la cultura – riuscì a conquistare il vincitore ed incivilire il Lazio agricolo.

Tuttavia, il trasferimento della cultura greca fu filtrato dall’essere e dalla mentalità dei latini e quindi pervenne – quale effetto di ogni “adattamento” culturale – modificato dai nuovi detentori del potere, che erano molto liberali dal punto di vista religioso e culturale. Gli dei romani sono il trasferimento del complesso della mitologia greca a Roma; il poeta Lucrezio non fa altro che trasporre con i suoi riferimenti culturali la filosofia di Epicuro nel suo De rerum natura; Cicerone riassume i manuali della media Accademia, Orazio si ispira ad Alceo, mentre Virgilio vuol superare Omero, con l’operazione medesima dell’Iliade e dell’Odissea.

Se la Roma pagana ebbe questo ruolo nei confronti della cultura greca, quella cristiana – ormai millenaria – ebbe lo stesso ruolo nei confronti dell’Ebraismo. Mai, infatti, nonostante le spinte ereticali, da Marcione ai nostri giorni, – la Chiesa romana ha abbandonato quella radice veterotestamentaria e tuttavia, la modalità della ricezione e della trasmissione, ovvero l’adattamento avvenuto è sicuramente un modo rinnovato nel cristianesimo di guardare all’antico Israele. Tale istituzione non solo recepisce dal punto di vista culturale e religioso i capisaldi dell’ebraismo, ma diventa anche una grande veicolatrice della cultura pagana – greca e latina – alla generazioni future, nel momento in cui ondate barbariche giungevano a distruggere i brandelli di civiltà del cadente Impero romano.

Una tale attitudine – prettamente romana – sia della Roma pagana che di quella cristiana, è stata definita dal filosofo francese Rémi Braguesecondarietà culturale”. La cultura è certamente “seconda” rispetto alla natura dell’uomo, in quanto non è mai innata, ma acquisita. Ma ogni nuova cultura è seconda perché innegabilmente erede di quelle che l’hanno preceduta. Ma nel caso dell’Europa c’è di più, infatti secondo Brague: «la secondarietà culturale mi sembra di avere, nel caso dell’Europa e solo di essa, una dimensione supplementare. L’Europa ha in effetti la particolarità di essere, per così dire immigrata in se stessa. Con ciò intendo dire che il carattere secondario della cultura vi è non soltanto presentato come un fatto, ma esplicitamente saputo e deliberatamente voluto».

In altri termini, l’esperienza romana, che è l’esperienza della cultura europea ha permesso e può permettere ancora di riconoscere la propria identità attraverso l’accoglimento della cultura dell’altro. È un sistema culturale particolare in cui identico e plurale riescono a dialogare e in cui attraverso la pluralità si giunge all’identità. L’attitudine romana è quella di saper riceve e trasmettere con intelligenza, del trovare ciò che proprio soltanto attraverso ciò che è altro o straniero. Un fine gioco culturale che, tuttavia, ha caratterizzato l’intera performance della civiltà europea sia con riferimento alla “romanità culturale” che in riferimento alla “romanità religiosa”.

La provocazione che ci giunge non è di poco conto. Gli europei di oggi saranno capaci di applicare questo modello, di fronte allo straniero che arriva, senza disperdersi, ma ancora una volta giungendo alla propria identità attraverso la conoscenza dell’alterità?

Daniele Fazio

Di Daniele Fazio

Dottore di ricerca in Metodologie della Filosofia, cultore della materia presso la cattedra di Filosofia morale del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Ateneo messinese con cui regolarmente collabora dal 2009. È stato borsista del Centro Universitario Cattolico ed è risultato vincitore del premio per un saggio di filosofia morale (2014), bandito dalla Società Italiana di Filosofia Morale. È docente di Filosofia e Storia nei Licei e corrispondente per la zona tirrenica della provincia di Messina della Gazzetta del Sud.

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