Visitando la chiesa di Santa Flavia a Caltanissetta, in una delle cappelle laterali si può ammirare una tela di grandi dimensioni che riproduce l’immagine di san Diego di Alcalà contornata da due serie laterali di riquadri, nei quali sono raffigurati alcuni episodi topici della sua vita. Si tratta di un genere di figurazione molto diffusa in Europa tra Quattrocento e Cinquecento, ma che in Sicilia ebbe un seguito significativo anche nel secolo successivo. L’autore è Nicolò Buttafuoco, pittore pressoché dimenticato, a cui tuttavia ha dato un improvviso spazzo di notorietà Leonardo Sciascia menzionandolo, quale autore di un quadro alquanto singolare, nel romanzo Todo modo.
Questa raffigurazione di san Diego, che risale all’ultimo decennio del secolo XVI e che riporta una didascalia per ciascun riquadro in una lingua italiana inframezzata da forme siciliane, è riprodotta in altri dipinti, di cui uno sempre del Buttafuoco è conservato presso la chiesa di San Nicola ad Agrigento. La storia del santo vi è delineata attraverso una sequenza di miracoli compiuti in favore di quanti ne hanno invocato l’intervento. In uno di questi, ad esempio, si vede san Diego che salva un giovinetto, il quale si era nascosto in un forno che poi era stato acceso. Un’altra storietta ci presenta la guarigione del figlio del re di Spagna gravemente infermo a causa di una caduta. E così ancora per una decina di riquadri dipinti con tratto stilizzato e con modi un po’ ingenui.
Passando poi alla biografia del santo, sappiamo che egli nacque da un’umile famiglia, intorno al 1400, in un piccolo centro dell’Andalusia, San Nicolás del Puerto, e che fin dalla sua più giovane età egli fu attratto dall’ascesi e dalla meditazione spirituale. Di indole generosa, condivideva i suoi modestissimi averi con i più poveri. Fu ammesso, come novizio, nel convento francescano di Arizafe, nelle vicinanze di Cordova. Divenne da fratello laico e nel 1441 fu inviato presso un convento delle isole Canarie, ove si distinse per l’intensa attività di apostolato e per l’impegno in favore delle popolazioni indigene, spesso vessate dai colonizzatori. Per i frequenti contrasti con i governanti, nel 1449 fu costretto a lasciare le Canarie e rientrare in Spagna. L’anno successivo si recò Roma in pellegrinaggio, per assistere alla canonizzazione di san Bernardino da Siena. Qui fu però trattenuto dall’insorgere di un’epidemia di peste, durante la quale profuse tutto il suo impegno nella cura degli infermi. Fatto ritorno in Spagna, assolse sempre ai suoi doveri di fratello laico in diversi conventi, l’ultimo dei quali fu quello di Alcalá de Henares, vicino Madrid, ove morì il 12 novembre 1463. Fu canonizzato da papa Sisto V nel 1588.
A san Diego si attribuirono molti miracoli, il più celebre dei quali è quello delle rose, raffigurato in un celebre dipinto di Annibale Carracci: rinunciando per abitudine al proprio pane per offrirlo ai più bisognosi, una volta uscendo dal convento fu interrogato dal suo superiore, che intendeva redarguirlo per la generosità ritenuta eccessiva, su cosa portasse nel grembo del suo saio: vi apparve, fuori dalla consueta stagione, una grande quantità di rose.
Il suo culto si diffuse in tutto il mondo ispanico seguendo la filiera dei conventi francescani. Nella Sicilia spagnola ebbe una significativa diffusione, confermata, peraltro, dalla devozione riservata al santo in vari centri dell’isola, tra i quali ricordiamo Canicattì, in provincia di Agrigento, di cui è protettore e dove gli è intitolata una chiesa.
Ma spostandoci in un’altra parte del mondo, singolare interesse desta la storia che riguarda la denominazione della città di San Diego, in California. I luoghi su cui ora sorge, in una baia della costa dell’oceano Pacifico, furono esplorati dagli spagnoli già alla metà del XVI secolo, ma vennero battezzati in onore di san Diego de Alcalà dal navigatore Sebastián Vizcáin, il quale vi trovò rifugio dalle avverse condizioni atmosferiche, il giorno della ricorrenza di san Diego, il 12 novembre del 1602. In quel punto d’approdo oggi c’è una grande metropoli – la seconda per numero di abitanti dello stato della California, l’ottava degli Stati Uniti –, ma dopo che Vizcáin l’ebbe visitato e registrato sulla mappa nautica rimase per lungo tempo disabitato. Fino al 1769, quando proprio San Diego costituì il primo di una serie di insediamenti promossi dai francescani guidati da san Junípero Serra nelle colonie spagnole. Quella di San Diego, infatti, fu la prima delle 21 missioni fondate dal Serra nei territori degli attuali Stati Uniti, tutte intitolate alla memoria di santi e martiri cristiani. Si tratta di missioni che avevano quale fine la conversione degli indigeni, ma allo stesso tempo miravano alla loro elevazione culturale e sociale. Serra si prefiggeva di fare passare gli indigeni dalle condizioni molto precarie in cui versavano, a una nuova organizzazione della vita quotidiana e a una economia produttiva. Del resto, la colonizzazione spagnola, pur con tanti punti oscuri, mirò comunque all’integrazione dei popoli nativi in una struttura sociale unitaria, e soprattutto non praticò mai, come quella inglese, la loro segregazione. Così nella toponomastica scorgiamo conservato, dopo vicende storiche che hanno stravolto il panorama umano della California di fine Settecento, il segno della missione affidata ai francescani di san Junípero Serra: Los Angeles, San Francisco, San Bernardino, Santa Ana, Santa Cruz, per l’appunto San Diego, e tante altre città.
Come si vede, luoghi tra loro molto distanti – abbiamo menzionato Caltanissetta, la Sicilia, la California, San Diego – risultano invece vicini se si segue il filo ideale che si dipana dalla figura di questo umile frate francescano e che si intreccia con innumerevoli altri fili, fino a formare quello straordinario tessuto che è la Magna Europa di matrice cristiana.
Ferdinando Raffaele