Gigante del pensiero, umile lavoratore nella vigna del Signore, Benedetto XVI alle 9.34 del 31 Dicembre 2022, lascia l’esistenza terrena. La commozione diventi riflessione seria sulla sua eredità intellettuale e di fede.
Joseph Ratzinger (1927-2022) è stato una delle menti più brillanti e profonde nel panorama intellettuale di metà Novecento e fino ai nostri giorni. La sua vocazione sembra essere stata precipuamente “monacale”, sviluppando la sua esistenza attorno al primato della preghiera e dello studio del mistero di Dio e attraverso di esso di ogni realtà. Questo, però, non lo ha sottratto ad ulteriori “chiamate” – mai direttamente o indirettamente cercate – che lo hanno proiettato in ruoli di governo ecclesiale prima come Arcivescovo di Monaco e Frisinga (1977-1982), poi come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (1981-2005) – solido architrave teologico del pontificato di san Giovanni Paolo II (1978-2005) – e infine quale duecentosessantacinquesimo successore di San Pietro a reggere la Chiesa universale. Ciò fino alla fatidica data dell’11 Febbraio 2013 in cui – sorprendendo tutti – rinunciava al ministero petrino, diventando da allora un mistero vivente nella preghiera e nel silenzio e sopravvivendo a questa decisione un altro decennio.
Il suo pensiero teologico – così come il suo lucido magistero – portano il respiro della bellezza delle radici europee che trovano sintesi suggestivamente simbolica nel nome “Benedetto” – in riferimento, non esclusivo, ma esplicito al santo di Norcia, padre d’Europa – che egli scelse da Sommo Pontefice. Pensiero e vita di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI possono essere considerate quale l’ultimo appello di speranza per questo “continente culturale” che ormai da secoli languisce in una profonda crisi, dovuta alla decisione di recidere, tappa dopo tappa, gli assi portanti della sua ragion d’essere storica e spirituale.
Il lavoro intellettuale del professore Ratzinger nonché la sua intera esistenza possono così esser lette come sintesi vivente e attualizzata di quello straordinario incontro tra filosofia greca, diritto romano, apporti dei popoli barbari e cristianesimo che permisero all’Europa di fiorire. Con questo bagaglio, ha attraversato non solo la crisi culturale del nostro tempo, ma anche quella ecclesiale, vivendo – ad esempio – da protagonista l’evento più importante della Chiesa contemporanea, ossia il Concilio Vaticano II (1962-1965), di cui, sulla scia dei papi suoi predecessori, ha offerto un’autentica ermeneutica alla luce della tradizione bimillennaria e sui binari della “riforma” e della “continuità”.
Il teologo Ratzinger, nonché il Pontefice Benedetto XVI, ha caratura di un vero e proprio Padre della Chiesa in quanto ha saputo intercettare gli assi fondamentali della cultura contemporanea, comprendere le domande e limiti della modernità, tentare di superare i paradossi e i punti oscuri, senza eludere risposte e soluzioni elaborate con l’ausilio fondamentale della sintesi tra ragione e fede. Ha mostrato dopo la separazione e l’opposizione tra queste due istanze come solo sospinti da queste due ali si possa comprendere il vero senso della vita e la direzione che singoli e nazioni devono intraprendere per sperare e realizzare quel bene a cui – lo si sappia o meno – l’essere ci fa tendere.
Il suo magistero, pertanto, diventa un puntuale orientamento per affrontare non un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca che ha sancito la fine della cristianità occidentale e ha diffuso un nuovo paganesimo che ha il carattere dell’apostasia. Ed è su tale sentiero che è andato oltre i “tradizionalismi” senza rinunciare alla bellezza della tradizione – anche liturgica – e i “progressismi” non senza indicare la via della necessaria riforma. Con Benedetto XVI, i cattolici sanno di essere minoranza, ma anche hanno la responsabilità di diventare “una minoranza creativa” chiamata ad essere “sale”, “luce” e “lievito” perché l’alternativa ad una mera conservazione non è la rivoluzione o l’insignificanza, ma la missionarietà incarnata soprattutto in relazione al “vecchio mondo” dalla nuova evangelizzazione a cui ha voluto dedicare un Pontificio Consiglio che ne potesse studiare i metodi e guidare l’azione.
L’atteggiamento di Ratzinger – senza venire mai meno alla verità e alla visione cristiana dell’uomo, della storia, del mondo – lo ha sospinto ad intessere significative interlocuzioni e confronti con figure lontane dall’orizzonte religioso, ad esempio, con Jürgen Habermas, ultimo rappresentante della Scuola di Francoforte, sui fondamenti dei sistemi liberaldemocratici e il rapporto con la religione; con Marcello Pera, allievo italiano di Karl Popper (1902-1994), sulle radici d’Europa e il relativismo; con il matematico Piergiorgio Odifreddi sull’immensa questione che riguarda il mistero di Dio.
La figura di Ratzinger è quella del cooperator veritatis (cfr. 3Gv 1,8) – come del resto indica il suo motto episcopale – e come tale irriducibile avversario di quella “dittatura del relativismo”, i cui – spesso non miti – sostenitori si trovano non semplicemente al di fuori del recinto di Pietro, ma anche al suo interno. Ogni vero sforzo di ricerca della verità è in fondo uno sforzo di ricerca di Dio a cui – come spesso ha ricordato citando la regola benedettina – nulla va anteposto. Con questa ferma convinzione ha sfidato la modernità ormai stanca, delusa, accartocciata su stessa e suicida a mutare paradigma: non più vivere e pensare etsi Deus non daretur, bensì veluti si Deus daretur. Saprà la ragione illuministica-strumentale coglierne le conseguenze?
Con il suo tratto umile, ha invitato a scoprire la grandezza dell’uomo nella sua “grammatica interiore”, in quella legge morale naturale che non può che essere in definitiva l’imprinting di Dio sull’essere umano e con questo sguardo universale ha incontrato e abbracciato popoli, culture e religioni diverse aiutando tutti ad un sano discernimento. Spesso questo sforzo nell’immediato non è stato capito e anche ferocemente avversato come è, ad esempio, avvenuto con la profonda lectio tenuta all’Università di Ratisbona (2006), tranne poi salutare quelle intuizioni come profetiche.
Ha nuovamente acceso i riflettori sulla grande virtù teologale della speranza – ridotta, distorta e dispersa nel processo di secolarizzazione dell’Occidente – di cui ogni uomo ha urgente bisogno e che non può che scoprire nel libero incontro con Gesù Cristo stesso. Proprio a Gesù di Nazaret ha dedicato un’avvincente Trilogia perché anche l’uomo del nostro tempo – dopo tanto smarrimento – possa sentirsi affascinato dalla figura di Cristo, vero Dio e vero uomo, e nella sua sequela trovare la piena realizzazione. Chi vuole, infatti, cercare con sincerità la verità la potrà trovare non in una teoria, non in una dottrina, non in un volontarismo o in un attivismo ideologico, né tantomeno nei vagheggiamenti totalitari della tecnoscienza, bensì in una persona vivente – non un personaggio semplicisticamente storico – Cristo maestro, pastore e salvatore.
La dinamica della conoscenza e dell’amore s’intrecciano perché la carità non può che viversi nella verità e la verità non può che rendersi concreta nell’amore e ciò non ha valore solo per i singoli ma anche per le nazioni che potranno trovare la pace solo nel rispetto di quei “principi non negoziabili” – vita, famiglia, libertà di religione ed educazione – che sono i fondamenti del rispetto della dignità di ogni uomo e le garanzie ultime del bene comune.
Joseph Ratzinger-Benedetto XVI durante la sua lunga vicenda terrena ha insegnato tutto questo e anche tanto altro ed ha suggellato il suo magistero teologico e pontificio con il suo silenzio e la sua preghiera, con il suo ritiro dal mondo per sostenere, anche con la sofferenza e il sacrificio, quella Chiesa, Corpo di Cristo, di cui egli si è sentito parte viva, senza alcuna velleità di potere, ma solo amando la verità e crescendo in comunione con Dio e con i fratelli.
La sua eredità è enorme e feconda: a noi il compito di riceverla e di farla fruttificare, a lui la gioia di vedere ora faccia a faccia Dio – quel Dio che ha parlato sul Sinai, quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine in Gesù Cristo crocifisso e risorto, quel Dio che ci ha ricordato, all’inizio del suo pontificato, essere Amore e che dà significato ad ogni altro amore – che si è sforzato in tutta la sua vita di far incontrare nuovamente all’uomo del nostro tempo per tirarlo fuori dal deserto del non senso e guarirlo dal veleno del nichilismo.
Daniele Fazio